COSE E FATTI CHE HANNO FATTO LA STORIA DEL TRENTINO
Roma e
Tridentum erano legate l'una all'altra non solo da vincoli di
amicizia, come al tempo dei Galli, e da affinità linguistiche,
sangue e cultura, ma anche da leggi romane da tempo vigenti, come
potrebbe essere la "lex Pompeia Strabonis" dell'anno 89 a. C. e la "lex
Julia" del 49 a. C. La prima legge regolava i diritti della Gallia
Transpadana, concedendo alla città di questo territorio il diritto
di cittadinanza latina, per cui essa, diventava capoluogo di
altrettanti distretti amministrativi. La seconda legge elevava la
stessa città a municipio. E se Tridentum fu elevato a municipio
romano onorato dall'imperatore Claudio con l'aggettivo di "splendidum" come si legge nella tavola clesiana, la città lo aveva
ben meritato per la sua lealtà politica nei confronti di Roma, per
la sua origine e per la sua posizione importante nel cuore delle
Alpi. A questo punto non è fuori posto ricordare che i Reti
romanizzati hanno dato origine alla stirpe Reta Romana, e che la
romanizzazione del loro idioma, ha generato i vari dialetti ladini.
Le notizie che si |
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hanno sul passato romano di Trento ci vengono dal suo sottosuolo; qualche importante resto stradale ed edilizio viene ogni tanto allo scoperto; spesso il sottosuolo rivela mucchi di colonne, capitelli di raffinata eleganza, lastre levigate, epigrafi, urne, sarcofaghi, frammenti di iscrizione monumentali tutte da interpretare. Sono sparse membra delle quali il più delle volte non si sa il posto ove furono trovate e se quello era la loro collocazione originale, ne e a quale edificio pubblico o privato appartenevano. Sono solitamente resti di un tempio, di una basilica, di un foro, di un teatro o di terme, questo qualche volta non è dato sapere. In più gli scavi sono stati prodighi di una ricca suppellettile che parla di usi e costumi dei nostri antichi avi; monete piccole, statue, utensili, fibule, gingilli di metalli anche preziosi, tutte cose allineate in maniera più o meno fredda e distaccata nei vari musei, molte volte stranieri. Comunque non molto lontano dalla chiesa di Santa Maria Maggiore a Ovest di via Rosmini, quindi "ex moenia", fra il 1958 e il 1962, fu scoperto i resti di una villa romana, del III e IV secolo, dotata di una serie di ambienti dal pavimento rivestito con grandi mosaici policromi. E' riconoscibile la cucina, il forno per cuocere il pane, il pozzo dal quale attingere l'acqua e buona parte dell'impianto a ipocausto, ossia del sistema di riscaldamento romano, il cui centro era al di sotto del piano terra, in un vano per il fornello e il materiale per alimentare il fuoco. Da qui l'acqua riscaldata allo stato di vapore saliva attraverso un complicato sistema di cunicoli e canalizzazioni alle stanze superiori che riscaldavano in modo uniforme, riempiendo le intercapedini, situate nello spessore del pavimento in cotto, delle pareti. Da questo sistema di riscaldamento, usato ben 2000 anni fa, è, in un certo senso, derivato il moderno riscaldamento a termosifone; un sistema il nostro molto meno pratico e utile dell'antico, anche a causa della distribuzione ineguale del calore nell'ambiente da riscaldare. Nelle vicinanze
dell'albergo Roma in via Simonino, sono state trovate
nel sottosuolo un numero imprecisato di colonnine fatte di mattoni
quadrati e sostenenti un pavimento; anche qui probabilmente, al di
sotto di queste "suspensae" passava e si diffondeva l'aria
riscaldata dal "praferinium" di pubbliche terme. Di un altro
stabilimento termale romano nella parte Sud-Est dell'attuale Piazza Lodron è stata constatata l'esistenza durante la ricostruzione
effettuata nel periodo post bellico; rimane un piccolo ambiente a
pianta circolare, con il pavimento non a contatto diretto col suolo,
ma sollevato da molte colonnine di mattoni, e con delle nicchie
scavate nel muro dalle forme quadrate. Poi c'è il sito più grosso
ritrovato sotto il Teatro Sociale di Trento, già nel 1926. E' in
quell'occasione la pala aveva urtato nei paraggi di un bel mucchio
di corna d'ariete; testimonianza quasi sicura della presenza di un
tempietto o di un'ara dove venivano sacrificati in onore delle
divinità gli animali le cui corna si ammucchiavano nei pressi del
sacello. Questo ritrovamento nel cuore di Trento romana non è un
avvenimento inconsueto se esso trova ad esempio, un riscontro a
Padova, e precisamente vicino all'antichissima chiesa di S. Sofia;
colà, poco distante dal luogo dove sorgeva un tempietto, ecco la
presenza in un
anfratto
roccioso di un buon numero di corna di bue. Gli ultimi lavori sotto
l'atrio e la platea del Teatro Sociale non hanno solo ampliato e
messo nella miglior luce il tratto di decumanus minore. Sono
apparse
anche importanti strutture riferibili a case di abitazione, a
piccole officine, a cortili affacciati sul tratto di selciato
romano; particolarmente interessante un atrio e un "triclinium" con
i loro mosaici policromi, purtroppo molto danneggiati. Vi è una vera
area di difficile interpretazione, a motivo del degrado patito nel
corso dei secoli, destinata probabilmente a funzione commerciale,
come è ben dichiarato da un locale rettangolare che doveva ospitare
una piccola bottega adatta alla lavorazione del vasellame di vetro.
In queste spoglie, sul bel selciato e sulle colonne del foro e sulle
vie e piazza armoniose, nei lastricati del "karbines" e dei
"decumani" già ricoperti da ogni sorta di detriti, si è sovrapposta
la Trento moderna e l'indifferenza dei secoli seguenti. Si è vista
la sovrapposizione lente ed esempio ne è la costruzione della nuova
basilica sulla vecchia contenente le ossa del Santo Patrono di
Trento cristiana. La Trento dei secoli barbarici
"Il castelletto"
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