L'asparago di Zambana Vecchia
è situata sotto i dirupi
della Pagamella. Di qui una volta partiva la funivia per
Fai, attraverso la Val Manara. Ma nel 1955 il
paese dovette essere evacuato perchè da sommo ciglio della
montagna un enorme blocco di roccia minacciava di staccarsi e di
precipitare sul paese. Infatti questo blocco fu fatto crollare
artificialmente e metà del paese scomparve sotto cumuli di
macerie alte diversi metri. Per gli abitanti rimasti furono
costruite case nuove in vicinanza di Lavis e in questa "Zambana
Nuova", vivono
oggi circa 1400 persone. Ora
in questo paese c'è un ristorante rinnovato, e i preziosi vegetali
vengono proposti in un'infinità di modi, prendendo le mosse
dalla bontà della materia prima.
Si deve dire subito che la coltivazione dell'asparago bianco in
Trentino ha una lunga tradizione. Le zone tipiche di produzione
sono sempre state le aree limitrofe al fiume Adige, a nord e a
sud di Trento, soprattutto Zambana, Nave San Rocco,
San Michele all'Adige, Aldeno e Romagnano.
I terreni sabbiosi sono ideali perché consentono un veloce
riscaldamento del terreno e soprattutto un buon drenaggio. Il
periodo di raccolta va dalla fine di marzo a metà maggio. Molti
degli asparagi che si acquistano lungo l'asta dell'Adige
provengono dalla coltivazione realizzata sulle "golene", termine
con cui si indicano le fasce di terreno situate dall'argine al
letto della corrente del fiume.
E così l'accomodarsi nella sala da pranzo del ristorante, apparecchiata con tovaglie gialle
ed ingentilita con fiori freschi ad ogni tavolo è d'obbligo se
ci si trova a passare da queste parti. I gestori sanno bene che in questo periodo il locale gode
di una grande attenzione per la particolarità dell'offerta e
quindi fanno di tutto per non deludere i ghiottoni che affollano
sempre la sala.
All'antipasto gli asparagi vengono offerti crudi, in insalata,
oppure in una triplice veste: impanati, al burro fuso o al
pomodoro. E solo l'inizio per un'abbuffata a base dello
sfizioso piatto: si può proseguire a ruota libera con l'asparago
proposto in zuppa, come risotto. Buoni anche il rotolo o le
crespelle, senza dimenticare i cannelloni, tutti piatti di cui
non occorre specificare il ripieno.
Dieci i modi in cui gli asparagi vengono proposti come secondo
piatto. L'elenco? Tutto da far venire l'acquolina in bocca: con
le uova, sode e nella classica salsa bolzanina, al burro fuso e
parmigiano.
O ancora più sapidi con il gorgonzola. Avanti con asparagi alla
Bismark, Primavera, alla Veneziana, al Teroldego, al
vino
bianco. Poi, siccome gli asparagi, pur ottimi, non sono vero e
proprio companatico, chi non ha problemi di linea può optare per
piatti di carne e di pesce, tra cui in questi giorni il capretto
al forno servito con una polenta nera di Storo che, da sola,
apre la valvola dei ricordi e dei sapori sempre più difficili da
trovare. Tramontata la stagione degli asparagi il locale nel
resto dell'anno punta le proprie carte sulla cucina trentina,
quella vera: con il
Tortel di Patate ed il
Tortel di Verdure.
Con le ricette classiche a base di polenta, funghi e selvaggina
o con proposte sempre più rare da trovare come
le Rane,
le Lumache. Pagina a parte quella spesa per il
Baccalà. Morale:
servizio gentile, proposta non comune valgono la pena di una
deviazione all'interno dalla statale del Brennero. Sui 50 euro.
Da Giorgio, Zambana vecchia. Tel.per prenotazione - 0461-245300 A Zambana, il piatto pasquale per eccellenza
Capretti ed agnelli, finiscono nelle mense di milioni di buongustai in questo periodo. Il capretto al forno è un piatto fintamente povero e abbastanza difficile da fare. Essenziale in primo luogo è la scelta della materia prima visto che, una volta cucinata, la carne che rimane non è sempre tantissima. In poche parole lo si deve scegliere bene e cucinare ancora meglio. Qui lo fanno molto buono e su prenotazione. Gli Chef locali suggeriscono di prepararlo così: prendere un chilogrammo di capretto, dose per quattro persone e farlo rosolare per bene con l'aggiunta di brodo vegetale. Quindi infornare a 180 gradi e di tanto in tanto bagnare il capretto con il proprio sugo. L'ideale sarebbe quello di servirlo in tavola con della polenta nera di Storo o con delle verdure cotte. Il tutto da abbinare ad un bicchiere di vino rosso. Una pietanza tutto in grado di offrire ottime soddisfazioni se è ben preparata.
scorre il traffico per l'alta Val Venosta e la non lontana Svizzera mentre, poco più vicino, promette di riprendere vita, fra pochi anni, la gloriosa linea ferroviaria. Se all'esterno di questa casa, dal tenue stile Liberty, il tempo sembra aver intaccato ben poco le cose e i ritmi, ben diverso è il discorso che riguarda il ristorante cresciuto tra le sue mura. Da quando, quindici anni fa, due giovani venostani, Jörg e Sonia Trafoier, lo presero in carico le cose sono parecchio cambiate. La lingua d'osteria, tanto a lungo parlata, si è lentamente, ma inesorabilmente, trasformata in lessico d'alta cucina. Numerosi riconoscimenti ne hanno certificato il successo, ma la filosofia che ne ha caratterizzato la crescita, non ne é stata intacca. Alla base della ristorazione del Kuppelrain rimane, infatti, una attenta valorizzazione del patrimonio agro alimentare della valle e una intelligente spinta creativa. Fiori, erbe e frutti di montagna vengono abilmente lavorati ed esaltati in golose combinazioni con carni locali e pesci di mare. Crostacei e frutti di mare vengono elaborati con fumanti creme di cereali e legumi altoatesini Il tutto eseguito con buona tecnica da Jorg e serviti con femminile grazia da Sonia. Il locale da poco ristrutturato ha acquistato in eleganza ma ha forse perso un po' in calore. Sempre
Kuppelrain non poteva che essere
di scena la primavera. Oltre ad aceti e succhi profumati di
fiori ed erbe si spende generosamente la crema di aglio orsino e
cominciano a troneggiare nei piatti i particolarissimi asparagi
di Castelbello.
Se il menù degustazione ai sapori della tradizione (46 euro)
dispone petto e coscetta di quaglia con insalata di patate e
dente di leone, punte d'asparagi e cips di rape rosse in
abbinamento ad un bicchiere di Gewürztraminer, dialogo di brodo
e crema d'asparagi.
Ma anche pappardelle di farro al ragù di coniglio e spugnole su
salsa di carote quello creativo si sbizzarrisce tra pesce e
carne. Ed ecco quindi trota affumicata in gelatina di Traminer
aromatico con punte di asparagi.
Crema di ortica con capasanta. Ravioli di cacao ripieni di
fegato grasso d'oca su mousse di mela e infine carrè di agnello
nostrano con code di scampi su salsa di tonno in abbinamento ad
un Vintage Tunina. Da provare infine il guanciale di vitello in
salsa al vino rosso con polenta d'asparagi.
Formaggio venostano di malga oppure fantasia di sorbetti e
finale in dolcezza per chiudere più che degnamente. Per gli
amanti del pesce ecco un paio di proposte: cappasanta arrostita
con lardo, gamberone e sardina fritta con pomodoro, crema di
patate bianche e nere con polipo oppure risotto al fiore di
dente di leone, cime di ortiche con filetto di triglia. Notevole
la carta dei vini e dei distillati.
Insalalata di asparagi, patate e denti di leone
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Se vi trovate da queste parti dovete proprio fermarvi almeno un attimo alla chiesetta
inaugurata il 19 ottobre 1903 come punto di contatto tra la ferrovia elettrica Dermulo-Mendola (che arriverà al passo sei anni più tardi, nel 1909 e terminerà le corse nel 1933) e la Bolzano-Caldaro, smantellata nel secondo dopoguerra. Nel 1400, quando venne edificata la chiesa di Sant'Antonio, anche la comunità di Ruffré, come gran parte dell'Alta Anaunia, dipendeva dalla Pieve di San Lorenzo a Sardonico, e nel 1579 ospitava già due altari dedicati ai due patroni del paese, Sant'Antonio e Santa Caterina. Il tempio originale era stato arricchito, nel 1526, con il campanile alto 20 metri, opera del maestro "murar" Stefano a Termeno. Le campane risalgono ad un periodo tra il 1520 e il 1550 ed in origine erano quattro, poi due vennero fuse durante la Grande Guerra. Le due sopravvissute, opera di campanari tedeschi, portano impresse rispettivamente la data 1520 e 1550. Altro ampliamento risale al 1865 richiesto dal curato dell'epoca, don Ignazio Onestinghel, che in un documento del 17 giugno scrive: "Per l'aumento continuo di questo popolo è di assoluta necessità l'ingrandimento di questa chiesa. Grazie alla collaborazione di molti pii devoti il parroco don Ignazio riuscì a procurasi 500 fiorini d'argento dalla LL.MM Ferdinando 1º e Maria Anna". L'opera venne poi approvata dal Comune con un benestare descritto in un atto del 4 agosto 1878 in cui si elencano anche le modalità di finanziamento. Tra le offerte spontanee di persone benestanti viene menzionata con riconoscenza la "nostra augusta imperatrice Elisabella Sissi che ha donato 50 fiorini". I lavori iniziarono l'anno dopo e il 12 settembre 1885 la chiesa fu consacrata dal vescovo Giovanni Delle Bona. Dopo altri lavori nell'estate 2002 la parrocchiale è tornata alle origini grazie all'impegno di Parrocchia e Comune. Durante i lavori, nella zona del presbiterio sono venuti alla luce vecchi affreschi risalenti al 1500, che devono essere restaurati. Solo dopo questi interventi ci sarà la festa per i sei secoli della chiesa.
Civezzano (469 m s.l.m) si
trova a 7 Km da Trento, a nord-est della città, sulla sponda
destra del torrente Ferina ed occupa parte dell'altopiano del
Calisio orientale. Conta ben 26 paesini, sparsi su una zona in
parte collinosa e in parte di montagna. Il comune è noto per il
Lago di Santa Colomba (una volta chiamato anche Lago
Santo), un delizioso specchio d'acqua circondato da belle pinete
e popolato da numerose specie di pesci. La Peive di Santa
Maria Assunta è la chiesa parrocchiale del borgo ed è
considerata una delle più belle chiese del Trentino: molto
antica, contiene i notevoli affreschi del Bassano. Gli
altri edifici artistici della zona sono: Castel Telvana,
sede degli uffici comunali, la settecentesca Villa Ranzi,
la Torre dei Canopi. Sulla antica strada romana il
forte austroungarico ospita una cantina vinicola privata.
Civezzano diede i natali a due illustri medici di fama europea:
il dott. Gianbattista Borsieri e l'illustre medico
trentino Giulio Alessandrini, che dedicò tutta la vita
alle scienze mediche, ma si occupò anche di matematica,
geometria e a diverse discipline umanistiche. Fu medico
ricercatissimo durante il Concilio di Trento. qui comunque siamo
a parlare di Lucia Gius, la proprietaria della
trattoria Maso Cantanghel. Non parlare prima della sua
famiglia sarebbe un grave errore.
La Famiglia Gius è stata un delle più importanti famiglie, per
quanto riguarda la ristorazione storica del trentino, la
trattoria Port'Aquila ha rappresentato, fino a che non è stata
rilevata dalla Provincia Autonoma di Trento, il punto di
riferimento per la cucina trentina. La vera "Osteria" dove ogni
giorno si potevano gustare i piatti, semplici, ma gustosi, della
tradizione, dai classici canederli asciutti o in brodo, agli
strangolapreti, fino a terminare con il più classico dei dolci
trentini, la torta di fregoloti.
E' stata inoltre per molti, scuola d'apprendistato per giovani
cuochi, quando non esistevano ancora le scuole professionali di
cucina, per capire, conoscere, imparare e poi diffondere la
cucina trentina. La ricetta consigliata è : "Strangolapreti"
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Il baccello, oltre che
fresco si usava anche macinato nel pane e nelle polente assieme
ad altri cereali. Dopo la scoperta dell'america con l'avvento
del fagiolo la sua posizione perse quasi ovunque di importanza,
ma non nelle valli ladine laddove l'altitudine non permetteva la
sua coltivazione. Così la fava restò, fin quasi ai giorni
nostri, l'unico, incontrastato legume della cucina ladina. Si
consumava fresca, cotta o cruda, oppure secca (fatta rinvenire
dopo una notte in ammollo), sgranata e spesso liberata anche
dalla buccia di ogni singolo seme. L'antica diffusione era, ed è
oggi ancora in parte, testimoniato dai faver, impalcature lignee
destinate all'essiccazione, o dalle arfe poste nel punto più
ventoso dell'abitazione e destinate anch'esse all'essiccazione
della fava e segno di distinzione delle famiglie.
Il più noto tra i vini trentini è il Fojaneghe, il primo
uvaggio bordolese, apparso nel panorama enologico della
Provincia. Ad essere sinceri questo primato se lo disputa con il
Castel San Michele, l'analogo rosso creato dall' Istituto
Agrario, ma quello che si è maggiormente diffuso sul mercato è
il Fojaneghe, da qui il primato. Fu merito del Conte Federico,
che voleva porsi in una nuova dimensione, tra le cantine
trentine, ma soprattutto dell'enologo Leonello Letrari che
materialmente lo creò e lo diffuse sul mercato. La cantina dei
Conti Bossi Fedrigotti, una delle poche cantine storiche del
trentino, è nata alla fine del diciottesimo secolo, per merito
di una donna, che prese in mano le redini dell'Azienda Agricola,
fino a quel momento vendeva solamente le uve prodotte nelle loro
campagne, e volle far nascere una cantina in modo da poter
trasformare in Azienda le uve prodotte in vino. Da quel tempo la
fama dei vini prodotti si diffuse fino a coprire tutto il
territorio dell'Impero Asburgico, più tardi una nuova cantina
divisa su due piani a Rovereto a Palazzo Fedrigotti, una vera e
propria novità per l'epoca, tanto vero che Napoleone Buonaparte
nel 1976 la visitò, non si sa se, attirato dalla bontà dei vini
o per curiosità di visitare la nuova cantina. Ora la gestione
della Azienda Agricola é di nuovo in mano a donne, le Contesse
Isabella e Maria Josè Fedrigotti, una nuova scommessa per ridare
ulteriore smalto ai vini e nuova dinamicità alla vita aziendale.
Il vino di punta, non può non essere ancora il Fojaneghe rosso.
Il nome deriva dalla tenuta di Fojaneghe nel comune catastale di
Isera su terra ad alto contenuto basaltico, terreno ideale per
uve come i cabernet ed il merlot. Il vino nasce in barrique
(piccole botti di rovere da 225 litri) di legno francese con
tostatura media dove rimane per circa un anno e subisce un
ulteriore affinamento in bottiglia fino alla messa in vendita.
Il Fojaneghe rosso 2000, si presenta di colore granato intenso,
profumi netti di piccoli frutti, di cioccolato, al gusto
leggermente tannico e ancora con note acerbe che denotano la
giovinezza, deve ancora esprimere completamente la sua
personalità, che tuttavia si intravedono le potenzialità e la
sua tenuta futura.
Il piatto consigliato Filetti di luccio perca gratinati ai carciofi su salsa al Marzemino.
Ingrediente per 4 persone: 4 filetti di
luccio perca (250 gr. l'uno ben puliti), 1/4 litro di vino
Marzemino, 4 cucchiai olio extra vergine, di oliva, 60 gr.
burro, 1 spicchio di aglio, 2 foglie di salvia, q.b. sale e
pepe, 1 foglia di alloro. Ingredienti per la gratinatura: 4
carciofi, q.b. pane vecchio grattuggiato, 1 cucchiaio di
prezzemolo, 2 cucchiai Trentingrana, 3 cucchiai di latte, 1
cucchiaio di olio d'oliva all'aglio, q.b. sale e pepe.
Procedimento: in una padella antiaderente, mettere l'olio e 1/3
del burro e rosolare i filetti di luccio perca precedentemente
salati e pepati. Toglierli dalla padella e metterli su di una
pirofila. Aggiungere a mantello i carciofi precedentemente cotti
in padella. Disporre poi sopra i carciofi l'impasto ottenuto con
gli ingredienti per la gratinatura. Passare al forno per 6
minuti a 190 gradi, intanto togliere dalla padella il condimento
di cottura e deglassare con vino marzemino aggiustando si sale.
Disporre i filetti e accompagnarli con la salsa. Non mi resta
che augurare buon appetito e alla prossima mangiata. |
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